Moti Friulani

Le due bandiere, quella italiana in copertina e quella europea in quarta anticipano il contenuto dell'opera. Mazzini ebbe l'idea di unificare i popoli europei, proposito che si sta avverando ai nostri giorni. Il grande Genovese pensava di sobillare una rivoluzione simultanea nelle tre Venezie e in alcuni paesi dell'Est Europa affinché queste regioni si liberassero dal giogo straniero e poi si unissero in una federazione. Al pensiero, Mazzini aveva fatto seguire i fatti organizzando una vasta rete cospirativa che però non ebbe grande fortuna; gli unici patrioti che si mossero contro l'oppressore furono i friulani.

Così il Moto friulano, visto in quest'ottica, diventa il primo movimento rivoluzionario che desiderava la libertà dell'Italia ma anche credeva in una possibile unificazione dei popoli europei. Questa caratterizzazione del movimento friulano dovrebbe far riflettere le popolazioni attuali del NordEst e stimolarle per far crescere almeno la macroregione Alpeadria e impegnarsi per una più completa federazione europea.

Qui di seguito alcune pagine del libro che raccontano degli avvenimenti europei del 1863.

Il 1863 è un anno di grande fermento rivoluzionario non solo nel Veneto, ma in tutta l’Europa dove si registra una serie interminabile di incontri, di riunioni, di missive e di spostamenti fatti allo scopo di costruire una vasta rete cospirativa che si estende dai più piccoli centri abitati del Friuli, del Trentino e del Veneto fino alle più grandi capitali dell’Europa centro-orientale: Belgrado, Budapest, Bucarest, Varsavia.

La Polonia insorge in gennaio e a sostegno della sua azione invia due emissari a Caprera per chiedere al generale Garibaldi di spedire in Ucraina e in Podolia una legione italiana guidata da suo figlio Garibaldi Menotti e di portare poi la rivolta anche nelle regioni del basso Danubio.

Anche il re Vittorio Emanuele è favorevole ad un' azione di scompiglio nell’area del basso Danubio e dei Balcani perché vede la possibilità di attaccare l'Austria invadendo il Veneto, conquistarlo e annetterlo al Regno d’Italia. Invia pertanto a Belgrado ed a Bucarest due alti ufficiali per verificare la possibilità di provocare una sommossa e di coinvolgere nell'azione sovversiva anche il principe Cuza regnante in Romania. La missione del re, anche se condotta in forma molto riservata, desta un certo rumore nelle ambasciate europee e a Parigi suscita il disappunto dell’imperatore Napoleone III, contrario a qualunque azione militare dell’Italia contro l’Austria.

Mazzini, che è pure favorevole ad una insurrezione popolare estesa dai Balcani ai Carpazi ma che, a differenza del re, la ritiene subordinata ad una azione che nasca nel Veneto, invia nella regione balcanica, come emissari del Partito d’Azione, due alti ufficiali garibaldini, Giacinto Bruzzesi e Giuseppe Guerzoni. Essi hanno il compito di raccogliere informazioni precise sulla missione segreta dei due inviati del re e di consegnare una lettera agli azionisti Milovan Jankovič e Vladimir Jovanovič a Belgrado e Costantin Rosetti a Bucarest. Compiute le missioni a Belgrado ed a Bucarest, Bruzzesi e Guerzoni si recano a Costantinopoli per incontrare gli emissari del governo polacco che è ancora in stato di rivolta. Con essi verificano la possibilità di far insorgere le popolazioni della Serbia, dell’Ungheria e della Romania sotto la guida del generale Garibaldi che, non avendo una particolare preferenza rispetto alla regione in cui far partire la rivolta, è disposto a sostenere comunque i piani degli azionisti e ad intervenire ovunque, purché la rivolta inizi ed indipendentemente da dove.

In Romania opera con grande zelo Gustav Frigyesy che è in contatto con Mazzini e con gli azionisti italiani e ritiene di poter contare anche sulla collaborazione del principe Cuza richiesta dal re sabaudo. Frigyesy informa gli azionisti italiani che entro il mese di settembre ritiene di provocare una insurrezione in Transilvania ed in Ungheria, in concomitanza di un altro moto insurrezionale suscitato in Galizia da Menotti Garibaldi. Ma nelle regioni dell’Europa centro-orientale le vicende non evolvono favorevolmente per i rivoluzionari. Da una parte infatti un carico di armi, già destinate alla Polonia e inviate per ordine di Garibaldi a Costantinopoli su una nave delle messaggerie imperiali francesi, viene sequestrato sul Bosforo dalla polizia turca. Da un’altra parte, a Varsavia, il governo rivoluzionario in carica viene sostituito con persone più moderate e contrarie alla rivoluzione che intendono risolvere la questione della autonomia della Polonia per via diplomatica e non con le armi.

L'affievolimento dell’azione rivoluzionaria in Polonia rende più difficile la possibilità di far insorgere le popolazioni balcaniche e del basso Danubio, a meno che, come sostiene Mazzini, non scoppi una rivolta nel “Veneto” che tenga impegnato l’esercito austriaco sul fronte occidentale, in modo da consentire ai serbi ed agli ungheresi di insorgere con successo. Ma affinché questo possa avvenire, occorre che l’azione militare di Garibaldi incominci nel Veneto e da lì prosegua poi verso oriente, lungo il Danubio ed i Balcani. Anche “la Polonia – scrive testualmente Mazzini in una lettera inviata ad Antonio Mosto ed ai suoi amici genovesi – non si aiuta efficacemente se non con l’impresa veneta. E’ là che bisogna concentrare ogni cosa”.

L’anno 1863 si chiude con tante speranze, tante illusioni, ma senza alcuna azione concreta, eccettuata quella – ormai indebolita – della Polonia.

Nella primavera del 1864 Garibaldi si reca a Londra e nella casa del profugo russo Alexander Herzen incontra l’esule Giuseppe Mazzini. Lo abbraccia e, salutandolo come il maestro ispiratore dei suoi anni giovanili, lo invita a collaborare alla realizzazione di un vasto piano rivoluzionario, esteso dal Mincio fino alle foci del Danubio. Il piano era già stato illustrato a Mazzini dal generale ungherese Klapka, appositamente inviato a Londra da Garibaldi, e prevedeva che la rivolta dovesse iniziare in Galizia e in Transilvania per estendersi poi in Ungheria, in Serbia ed in Croazia. In questo modo, con le truppe austriache impegnate nelle regioni balcaniche e danubiane, l’esercito sabaudo poteva occupare il Veneto e liberarlo dal dominio austriaco con l’aiuto determinante dei patrioti italiani.

Il piano, molto ambizioso, era sostenuto dal re Vittorio Emanuele e poteva contare sulla presenza militare del generale Garibaldi nelle regioni orientali fin dall’inizio della rivolta. Ma per avere successo aveva bisogno dei patrioti del Veneto e del sostegno di Mazzini, il quale invece era convinto che il punto principale della rivolta fosse il Veneto e che lì fosse indispensabile la presenza di Garibaldi.

Discutendo con l’emissario del re Demetrio Diamilla Müller, inviato a Londra da Vittorio Emanuele, Mazzini si era anche dichiarato disposto ad accettare il piano del re e a far scoppiare il moto in Galizia sotto la guida di Garibaldi. Chiedeva però che, contestualmente all'avvio della sommossa, l’esercito sabaudo invadesse il Veneto e che, nell’attesa, provvedesse a potenziarne i depositi segreti con l’introduzione di nuove armi. Poiché queste condizioni non furono accolte, le trattative si interruppero subito, ma furono riprese più tardi per iniziativa di Mazzini.

Alla fine di maggio, infatti, Mazzini invia a Torino il suo collaboratore Ludwik Bulewski, capo del centro rivoluzionario polacco a Londra, ed avanza a Vittorio Emanuele la proposta di iniziare la rivolta in Romania sotto la guida dell’ungherese Gustav Frigyesy, esule a Bucarest, che agisce in collaborazione col principe Cuza e che conta di far insorgere anche la Galizia, nella Polonia meridionale. Poiché nella missiva non si dice nulla a riguardo del Veneto, il re non solo acconsente alla proposta, ma ne rivendica la paternità per averla sostenuta fin dal ’62.

L’intesa tra Mazzini e Vittorio Emanuele sembra essere finalmente raggiunta, ma è solo apparente perché si basa sul fatto che entrambi ritengono di poter disporre a proprio piacimento del sostegno determinante del generale Garibaldi. In realtà i loro programmi sono totalmente divergenti e incompatibili. Mentre per il re l’insurrezione in Romania ed in Galizia è soltanto lo strumento necessario per raggiungere l’obiettivo finale di allargare nel Veneto i confini della monarchia sabauda e lasciare inalterato l’assetto politico circostante – magari con l’aggiunta di un trono conquistato per il secondogenito Amedeo nei paesi balcanici e del basso Danubio – Mazzini ha in testa un altro disegno rivoluzionario che, partendo dall’insurrezione del Veneto o subordinatamente della Romania e della Galizia, prevede uno sconvolgimento geografico e politico in tutta l’Europa, con l’obiettivo finale di costruire una federazione di stati democratici e repubblicani basata sulla libera volontà delle popolazioni aderenti.

Il piano rivoluzionario europeo, sostenuto con scopi diversi da Mazzini e da Vittorio Emanuele, sembra comunque potersi concretizzare il 6 giugno 1864, quando Garibaldi incontra a Torino il rappresentante del governo rivoluzionario polacco, Jòzef Ordega, e con lui si impegna a far insorgere entro l'estate di quell’anno sia il Veneto che la Galizia. Alcuni giorni dopo, il 17 giugno, lo stesso Garibaldi, in contrasto con le aspettative di Mazzini che lo voleva comandante supremo nell'insurrezione del Veneto, si reca ad Ischia per arrivare in Romania, via mare, dopo essere passato per Costantinopoli a sostenere anche diplomaticamente la missione militare affidatagli dal re. La decisione di Garibaldi di partecipare in prima persona alle azioni rivoluzionarie nella valle del basso Danubio provoca la delusione di Mazzini e di larga parte dei rappresentanti del Comitato Centrale del Partito d’azione. Il piano del re sembra dunque avviato al successo, ma proprio quando si stavano collegando tra di loro i vari movimenti nazionali organizzati sul territorio, mentre si stavano reclutando gli ufficiali da mandare in Serbia e nei principati rumeni a comandare i nuclei di volontari che stavano sorgendo, mentre si stavano inviando nelle zone prescelte i materiali, le armi e le munizioni necessarie a sostenere la rivolta, mentre anche in Galizia si stava costruendo una locale rete cospirativa, proprio mentre tutto ciò stava avvenendo, improvvisamente il 24 giugno 1864, veniva arrestato a Bucarest Gustav Frigyesy, l'azionista ungherese ispiratore della rivolta rumena e principale emissario di Mazzini e di Garibaldi in Romania. Con lui furono arrestati anche i più fedeli collaboratori che, a capo di una legione ungherese-polacca, erano sul punto di invadere la Transilvania con l'intento di provocarvi una sommossa.

Gli arresti operati a Bucarest dalla polizia del principe Cuza, inserito nel progetto rivoluzionario per volontà del monarca sabaudo, ebbero le loro conseguenze anche in Italia. In un articolo comparso il 10 luglio 1864 sul giornale della sinistra italiana, il Diritto, si condannava espressamente ogni impresa rivoluzionaria sostenuta fuori dell’Italia – perché ritenuta inutile e dannosa per il popolo italiano – e si riaffermava invece la necessità di sostenere la rivoluzione nel Veneto. Il re Vittorio Emanuele annunciava la revoca del suo impegno a sostenere la spedizione in Romania e Garibaldi, deluso, si ritirava a Caprera. Solo Mazzini continuava a credere nel suo disegno rivoluzionario europeo.